Quelle lapidi dalle mille incertezze (ilpareredellarchitetto.blogspot.com)

Dopo Planco, Nardi, Paolucci, Tonini
(antiquaria, epigrafia e archeologia a Rimini)
L'antiquaria e l'epigrafia testimoniata direttamente da alcuni storici e collezionisti riminesi del 1700 e 1800. Due secoli ricchi di ricerca storica e vivaci discussioni tra gli stessi protagonisti sulle interpretazioni. Il percorso iniziato nelle due precedenti pagine di Storia e Storie (settimanale Il Ponte) del 27.03.2011 e del 26.06.211, si conclude con l'argomento dell'epigrafia e la classificazione che Luigi Tonini, storico riminese del 1800, fece delle lapidi. Alla fine di c.a. due secoli di diatribe l'unica certezza fu la consistente mole di scritti contenenti le proprie convinzioni e l'altrui incertezze.
Domenico Paolucci pro-segretario comunale
Di Paolucci ne parla per ben due volte Luigi Tonini in Rimini avanti l’era volgare, Rimini 1848 (pag. 21 e 22), e con stessa identica dicitura Della storia civile e sacra riminese (pag. 21). Luigi Tonini nel 1855 acquistò la raccolta di manoscritti, pergamene e reperti archeologici della collezione Paolucci, nel 1861 le pergamene e le carte Zanotti, nel 1870 fece parte della commissione comunale per l'acquisto della collezione Gambetti alla Gambalunga. Domenico Paolucci, pro-segretario comunale, risulta collaboratore del romano Giornale Arcadico di Scienza Lettere ed Arti dal 1847 al 1854. Nello stesso Giornale del 1852 è collaboratore anche l'avv. Gaetano de Minicis e il cav. Maurizio Brighenti, ingegnere riminese. Nel Giornale Arcadico del primo trimestre del 1845 pubblica in forma di lettera «Al chiarissimo amico avv. Gaetano de Minicis di Fermo» anche lui collezionista di epigrafi, un suo articolo chiarificatore su interpretazioni di passati collezionisti riminesi sulle lapidi, che si riporta in parte. «Più volte in me stesso divisato avea, amico carissimo, di presentarvi copia de’ marmi scritti da me raccolti nell’agro riminese, perché voleste esternare sui medesimi lo scientifico giudizio vostro: ben conoscendo quanto nell’antica epigrafia siete valentissimo, e come si vari e preziosi monumenti vi siano carissimi; ma le molte giornaliere mie occupazioni d’ufficio, che assai mi pesano, e più ancora l’obbligo che imposto erami d’illustrare, per quanto era in me, la copiosa serie delle figuline [terracotta] che possiedo, m’hanno infino a questo punto dal farlo distolto. Ora però che trovomì con qualche briga di meno, per aver condotto a termine il mio lavoro sulle figuline, e che nell’onorarmi nel novembre scorso di vostra graziosa visita vi piacque eccitarmi a non ritardare più oltre la pubblicazione dè marmi stessi, e specialmente dè venticinque inediti, per non tenere di più la classe dei dotti priva della conoscenza di esse, sonomi determinato di appagare il vostro ed il mio desiderio. Nel far che io credo util cosa corredare questa mia particolar collezione di alcune osservazioni dirette a far conoscere, trattandosi delle lapidi inedite, il luogo e il tempo della loro dissotterrazione, non senza quelle notizie che intorno ad esse ho potuto raccogliere; e per le già edite porre sott’occhio le precise lezioni tolte dagli originali marmi che conservo; giacchè i diversi collettori delle lapidi riminesi, cioè l’Anonimo (Codice M.S. nella Gambalunga in Rimini) conosciuto con il titolo di codice Rigazziano [Paolucci si riferiva al manoscritto che prese il nome di Codice rigazziano per essere appartenuto al medico Giovanni Antonio Rigazzi], «Sebastiano Bovio de Gherardi (Codice inedito nella pubblica biblioteca amaduzziana legata al comune di Savignano), Cesare Clementini (Raccolto istorico della fondazione di Rimini, vol. 2. Rimini pel Simbeni), mons. Giacomo Villani vescovo di Chiazzo (M.S. nella biblioteca Gambalunga intitolato De vetusta civitate Arimini et eius episcop.), Giuseppe Malatesta Garuffi (Lucerna lapidaria. Arimini 1691. typ. Ferrari), Tommaso Temanza (Delle antichità di Rimini, libri 2. Venezia), Jano Planco (Novelle letterarie), pubblicandone chi un numero chi un altro si copiano fra loro, variando anche talvolta le lezioni, cangiando nomi, omettendo o aggiungendo parole; il che vedesi altresì praticato nelle copiose collezioni del Grutero, del Faretti, del Muratori, del Maffei, nelle quali le nostre iscrizioni trovansi in gran parte registrate».

Due Luigi bibliotecari: Nardi (1777-1837), Tonini (1807–1874).
Non è escluso che nella Gambalunga il giovane studioso Tonini, incontrasse il bibliotecario Nardi senz'altro ne conosceva gli scritti. Su due argomenti storici Tonini fece sue “in toto” le tesi di Nardi e purtroppo si “dimenticò” di attribuirle a lui. In Guida del forestiere nella città di Rimini, 1864, a p. 2 scrive sui “vichi” «Ai tempi d'Augusto la città fu divisa in sette Vici con nomi tolti da quelli di Roma» e a pag. 6 sull'antico Rubicone, dopo aver citato se e il suo libro Rimini avanti avanti il principio... sentenzia «e qui basti dire, che quello passò sotto l'antichissimo ponte di Savignano, a ponente di Rimini un dieci miglia, o chilometri 15: da quel corso deviò più tardi, fino a scorrere oggi pel Pisciatello». Così scrivendo Tonini fa suo quanto scritto in precedenza da Nardi, contro l'ipotesi di Iano Planco e altri. Tonini non approvò l'ipotesi di Planco che l'antico Rubicone fosse l'Uso ma, come Nardi, scriveva che era il Pisciatello. Tonini sapeva delle controversie sul Rubicone, a p. 6 della Guida scrisse «ha dato argomento a tanti scritti fra gli eruditi», a p. 46 scriveva della «magistrale dissertazione archeologica» di Nardi del 1813. Tonini alle p. 6,7,8,9 della Guida cita le sue stampe e pur facendo sue le precedenti tesi storiche di Nardi su vichi e Rubicone si guarda bene dal darne riconoscimento a Nardi.
Luigi Tonini (1807-1874)
Nel libro Rimini avanti il principio dell’era volgare, Luigi Tonini espresse la sufficienza interpretativa e la dubbia attribuzione delle iscrizioni lapidee. In due esempi mise in discussione le attribuzioni del bibliotecario Antonio Bianchi. Il primo a pag. 234 «I nostri storici dicono che un tal marmo era nella chiesa di S: Onofrio (a ponente di A.3): e veramente di colà passò in casa Paolucci quello n. 5. Clementini però dice che quella chiesa di S. Onofrio fu fondata sopra il tempio della pace, (p. 115): ma il nostro Bibl. [Antonio] Bianchi fu di parere che Clementini equivocasse nel titolo, e scrivesse Pace invece di Salute». Il secondo nella pag. 236 «Di un’opera pubblica parlano le due iscrizioni n. 21 CI.I. e n. 12 Clas. II. dataci dai duumviri Cajo Obuleio, e Manlio Ottaviano. Ma quale fu essa? Opinò [Antonio] Bianchi fosse una parte delle mura urbane. La lapide però dice HOC OPUS [questa opera], e non MURUM [il muro]: e noi non vorrem dire ciò, che il marmo non dice». Questa ultima frase contiene il secolare scontro sulle lapidi. Polemiche espresse più con la passione da collezionisti che da esperti. Tonini metteva in guardia dalle approssimazioni sulle iscrizioni lapidee e sulle loro incerte origini con puntuali raffronti, il Clementini e gli altri che chiamò «i nostri storici». L’incertezza sulla materia dell’epigrafia alimentò l'inventiva senza alcuna substantia, evidenziata dal figlio Carlo Tonini. Incertezze ereditate dal passato, dalla «concezione umanistica della storiografia come opus oratorium [che non teneva in considerazione] la scaltrita sensibilità [muratoriana] per le fonti, e insieme, la tecnica diplomatica e paleografica» (Compagnino Gaetano, Dalla vecchia Italia alla cultura europea del Settecento, Laterza 1973). Incertezze note al Tonini che in Rimini avanti il principio dell’era volgare, nel cap. IV classifica le lapidi antiche e lapidi antiche riminesi. Nell’appendice aggiunse altre tre categorie: «lapidi peregrine, lapidi riminesi spurie o non antiche, lapidi peregrine intruse fra le riminesi».
Domenico Paolucci
A dirimere con semplicità la plurisecolare questione delle iscrizioni antiche ritrovate nel territorio riminese, fu Domenico Paolucci, Pro-segretario comunale, con le sue osservazioni pubblicate nel Giornale Arcadico di scienza, lettere, ed arti, nel numero pubblicato nel 1845. Paolucci intitolò il capitolo Sopra alcune iscrizioni antiche trovate nel territorio riminese, le più delle quali ancora inedite; collezionista di oggetti antichi tenuto in grande considerazione da Luigi Tonini, riunì le informazioni con le sue osservazioni di errori, invenzioni, copie ecc. trasmesse da eruditi e collezionisti sulle lapidi. Nel sito della Biblioteca Comunale riminese era così riportato «Grazie al Tonini la Gambalunghiana si arricchì - oltre che dei cospicui fondi monastici delle soppressioni del 1868 - della raccolta di manoscritti, pergamene e reperti archeologici di Domenico Paolucci (1855)» (http://www.bibliotecagambalunga.it/storia/pagina8.html. 26.05.’09).
I falsi epigrafici romani e le vivaci polemiche
La crescita dell’interesse al collezionismo e l’abbondante diffusione letteraria per l’argomento delle antichità alimentò il fenomeno dei falsi in tutta la penisola che antiquari ed eruditi contribuirono a diffondere. Le iscrizioni lapidee, vere e false, circolarono in un clima che in qualche caso si animò di contrasti e polemiche, le notizie sull'argomento trovarono diffusione nelle Novelle Letterarie sin della seconda metà del 1700. Le contese di eruditi collezionisti di antiquaria furono tramandate ad altri argomenti come l'archeologia. Non si formò un clima di confronto costruttivo in chi li praticò, ognuno portò le proprie idee e convinzioni personali in opposizione ad altri. Prevalgono le considerazioni personali riassunte nel detto di Terenzio Quot homines tot sententiae (Tanti uomini tanti modi di pensare). Oggi non è cambiato niente, le pubblicazioni su argomenti epigrafici e storici spesso riportarono accentuate divergenze di teorie e di pensiero. Rimanendo in ambito locale e nel settore dell’archeologia, a stigmatizzare di recente la pluri secolare pratica polemica, è stato il Prof. Lorenzo Braccesi che (stando al sito http://www.comune.rimini.it/eventi/pagina5908.html), «presiede il comitato scientifico preposto all'ordinamento del Museo archeologico». Nel libro Rimini salutifera: magia, medicina e domus “del chirurgo” (Monduzzi 2008), Braccesi riassume in una frase il perché delle polemiche tra studiosi praticate anche in passato sull'argomento delle lapidi e dell'epigrafia. Braccesi fa chiarezza sulla inutilità della sempre attiva tenace polemicità priva di sostanza e contenuti: “È molto facile scrivere in forma difficile un libro privo di contenuti. Ne è straboccante l’erudizione locale” (da Il Ponte 23.05.2010 RiminiLibri).





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