FESTEGGIATI 150 ANNI DELL'UNITA' D'ITALIA

L'INFAMIA DELLE DEPORTAZIONI PIEMONTESI

"In tempi di menzogna universale, dire la verità sarà un atto rivoluzionario".   George Orwell
 
Con finanziamenti dal bilancio dello stato sono stati celebrati i 150 anni dell'unità d'Italia. Nel 2012 con il denaro dei contribuenti si è festeggiato il più infame dei delitti, la guerra civile, l'aggressione alla popolazione civile con esercito regolare sabaudo delle regioni del centro sud dell'Italia dopo il 1861. 
Capofila dei festeggiamenti il Presidente della repubblica italiana, primo cittadino,
che cosa s'è festeggiato?
Si è festeggiato una sanguinosa guerra civile iniziata in occasione del giro d'Italia di Giuseppe Garibaldi che vide una prima tagica strage a Bronte, continuata dalla occupazione delle truppe Sabaude di Piemonte, operazione militare fatta per annettere lo stato Borbonico e della Chiesa. Una vergognosa e infame vicenda tenuta nascosta e seppellita dalla propaganda connivente degli storici in tutti i libri di scuola. Lo stato italiano si è fatto e si fa complice attualmente con il capo dello stato di violenze efferate e inaudite sulle popolazioni, donne, bambini sottoposti forzatamente alla repressione degli invasori piemontesi, decimate a migliaia con atti di sangue con fucilazioni e deportazioni nei "bagni penali", nelle prigioni, nelle fortezze. Settanta anni prima del fascismo e delle deportazioni naziste l'italia delle regioni del centro e del sud ha vissuto oltre un decennio di leggi speciali di ordine pubblico, di legge marziale con tribunali militari, fucilazioni, violenze militari su donne vecchi e minori, infine le deportazioni al "domicilio coatto" in tutti i carceri della penisola, "bagni penali", colonie penali agricole confine in "istituti pii". Molte prigioni furono adattate alla necessità o acquistate con normali voci di bilancio dello stato approvate dal Parlamento.

Gli archivi storici stanno restituendo la verità nei documenti ma sin dal 1864 gli infami aguzzini erano già stati smascherati. Purtroppo non servì a niente.

- Vittorio Emanuele II e i governanti sabaudi furono i carnefici praticanti delle deportazioni di massa nell'Ottocento, gli ordinatori di uno sterminio di massa pianificato, di una pulizia etnica gravida di onta e di delitti. Tra i tanti delitti il più infamante i 3.000 minori che furono deportati e internati nelle carceri insieme a tutti gli altri detenuti. Oltre ogni aspettativa i progetti di deportazione all'estero.

- Giuseppe Garibaldi è sicuramente trà gli ignavi "che mai non fur vivi" perchè pur sapendo non condannò l'operato dei carnefici. Su di lui la responsabilità del pasticcio del promettere le terre ai ceti meno abbienti e delle esecuzioni di Bronte.

- Gli storici tutti che si sono allineati alle versioni compiacenti al potere sono i peggiori in assoluto per disonestà morale, gli esseri più spregevoli, macchiati e dannati in eterno per non aver manifestato l'esercizio morale della verità. Insieme a loro i governanti attuali.
Diffidate c'era poco da festeggiare, hanno sperperato denaro pubblico a copertura di una furfantesca menzogna delle coscienze senza alcuna dignità.

"UNA DELLE PUNIZIONI CHE TI SPETTANO PER NON AVER PARTECIPATO ALLA POLITICA E' DI ESSERE GOVERNATO DA ESSERI INFERIORI".  Platone


Pagina 119
Fumel (L'ENERGICO, come il cognominarono le livree della stampa!) quelli del Fantoni, del Galateri ecc. che ingiugne sia passato per le armi qualunque si rinvenga portante un rustolo di pane (1), quello del Prefetto di Foggia che irroga morte a chi ferra cavalli senza il permesso della prefettura; ed aveva letto non meno la mozione d'inchiesta del deputato Proto, il Duca di Maddaloni.
Ed in quel poco di giorni, che a Napoli aveva fatto stanza, bene potè addarsi come non fosser punto accusazioni sfavate quelle del Duca. Aveva veduto come veramente la setta dei Piemontizzatori a Napoli «avesse infrante e sperperate le forze e le ricchezze da tanto secolo ammassate, annullata la pubblica istruzione, per corrottissimi tribunali lasciato cadere in discredito la giustizia, al reggimento delle provincie messo uomini di parte, spesso sanguinosi ladroni, cacciato nelle prigioni, nella miseria, nello esiglio, non che gli amici e i servitori del passato reggimento (onesti essi sieno o no, che anzi più facilmente se onesti), ma i loro più lontani congiunti, quelli che ne hanno appena il casato». Nè men verace aveva trovato l’accusa che i sicofanti della rivoltura piemontese facessero i teatri scuola l’immoralità, di miscredenza, di ateismo, che cangiassero in postribolo tutto; e l’accusa della propaganda eterodossa manodotta e spallegiata dal governo per isbattere «l‘ unica e naturale unità» della penisola, l’unità della sua fede, culla e palestra di ogni italiana grandezza». Ed aveva appurato , anche prima, quella d’aver posto la menzogna in luogo di ogni verità e travolto il senso pubblico e le veraci
(l) Ordine del giorno del Piemontese Fumel. Cclico 1 Marzo 1862, e quello del piemontese Fantone Lucera 9 Febbraio 1862. Egli fu dopo questi crudelissimi bandi che Napoleone III credette dover indirizzare al General Fleury il (IIsPRcCÈ: l Vichy  2l Luglio 1862, divenuto famoso pel gran conto che fecero i ministri della sua figliuola Italia.
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idee di virtù e di onoratezza; e quella che il governo di Piemonte «arma i cittadini contro ai cittadini e tutti in una vergogna conculca e servi e avversari e fautori »
Di vista e di udito aveva potuto scorgere come, veramente «nel reggimento delle Sicilie non fosse unità di sistema nè di massime, non mezzi, non fini determinati, non giustizia distributiva, ma invece espedienti di governo presi e dismessi secondo le esigenze dei casi, personali favori ed ire personali, sdegno della propria gente, non amore di patria, non il paese ma una setta» (2). Ed ora la grande anima venia anche in grado di vedere per sè medesima fatti qnche più atroci, che quelli che aveva udito a dire o
letto.
Concio fossechè, non appena abbandonato dall'Aquinate, discernesse turba di uomini e di donne, equali fanciulli, quai vecchi, laceri, grami, piangenti, a cento a cento legati, strascinarsi alla marina e colà, da soldati piemontesi, venire abbarcati sui piroscafi dello stato, che portavangli nelle isole di Sardegna o di Toscana, od alle gelide stanze delle Alpi. E quei miseri erano vittime della legge Pica, questa nuova infamia d’Italia, che danna al più feroce ostracismo i sospetti di favorire la guerra dîndipendenza, quelli con nuove parole diconsi manutengoli del brigantaggio. Ed essi erano parte di altri meglio che ventimila, tutti cosi deportati. E quale piangeva il povero campo abbandonato e però il pane della vita sua, quale la famigliuola innocente e i dolci amori e la terra che covre l’ossa dei parenti e il tiepido clima e il purissimo acre di sue contrade, mutati per le maremme pestifere di Oristanoo le perpetue nevi di Fenestrelle. Ahi miseria! Efra essi erano vencrandi sacerdoti, costretti a lasciare il gregge innocente fra le più ferocissime belve e le più dissolute.
(2) La Mozione d’inchiesta del Duca di Maddaloni deputato al parlamento italiano. Nizza società Tipografica 1862. 
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Erano povere madri che strappavansi alla cura dei figliuoli: erano spose che involavansi ai mariti : erano figliuoli che rubavansi ai cadenti genitori: erano fanciulle che strascinavansi all'esilio non solo ma alla prostituzione.
Ed i più di quei miseri venian profondati in tanta miseria. qual perchè un suo congiunto combattesse, e le armi della rivoluzione non sapessero vincere ancora nè prendere; qual perchè inviso a taluno di quei despoti del paesello che si accomunano con vincitore qualunque; quale perchè accusato dal borghese usuraio che vuol frodarlo del censo; quale perchè la sorella o la sposa destò le male voglie del ricco o dell’occupatore. Nè tra essi vedevi pochi di coloro, che non dispettando la rivoluzione, ne schifavano poi il mal governo  o di quelli che non vollero spalleggiare la candidatura di questo o di altro osceno proposto a deputato dal prefetto. Vi aveva anche taluno che nei consigli comunali o fra le armi cittadine ricusava fare il piacere assoluto dei ministri o di chi per essi.



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