L'UNITA' D'ITALIA 1
Una
tragedia per la metà della nazione
Appena conclusi i
festeggiamenti dei 150 anni dell'unità d'Italia, non si capisce
perchè il Presidente Napolitano ha indossato i panni dei governanti
“unitari” ignorando la sanguinosa repressione dell'esercito
piemontese, ignorando il martirio della sua terra, della sua gente.
Le ricerche negli Archivi Militari e Archivi di Stato restituiscono
da molti anni una realtà storica totalmente opposta alla propaganda
messa in atto dopo l'assalto militare dell'esercito Piemontese allo
Stato Borbonico e ai territori dello Stato della Chiesa. Dal 1860 al
1870, ed oltre come in recenti studi, nel meridione d'Italia si
combattè una sanguinosa guerra civile, si accese la rivolta contro
lo straniero invasore sceso dal nord a “civilizzare”. Oggi si
direbbero, ironicamente, “esportatori di democrazia” a forza di
fucilazione, sangue e guerra civile. Per la propaganda Sabauda la
corte Borbonica fu un regime perverso, retrogrado ed autoritario.
Giuseppe Garibaldi:
Il primo fu Garibaldi, l'irruzione militare
“dell'eroe dei due mondi” aprì la strada ai piemontesi nel Regno
delle Due Sicilie e determinò uno sconvolgimento storico che ben
presto ebbe conseguenze drammatiche tenute nascoste o negate. La
prima tappa delle efferratezze fu in Sicilia a Bronte, per dare un
esempio alle popolazioni locali si mise davanti al plotone d'esecuzione
e fatte fucilare alcuni cittadini inermi e analfabeti compreso il
“matto” del paese.
L'esercito sabaudo:
Da un lato, dunque l'invasione militare, i soldati del re sabaudo
che uccidevano, bruciavano e stupravano in nome della libertà e
della fratellanza, dall'altra i “briganti” che cercavano
disperatamente di difendere i territori meridionali dalle grinfie di
un branco famelico e feroce di lupi. Alcuni nomi Fumel, Fantoni,
Galateri.
Legge Pica: La legge 1409 del 1863, nota come legge Pica, dal deputato promotore abruzzese Giuseppe Pica, fu approvata dal parlamento del Regno d'Italia, promulgata da Vittorio Emanuele II, il 15 agosto 1863. In vigore fino al 31 dicembre 1865 istituì la corte marziale con le esecuzioni immediate e sottraendo alla giustizia ordinaria gli oppositori. Furono Fucilazioni e deportazioni.
Dopo un anno e mezzo, con molte opposizioni, venne abolita la legge Pica ma 5 mesi dopo a maggio 1865 si tentò di ripristinarla con la reintroduzione di un'altra legge per l'ordine interno all'articolo 3. L'onorevole Crispi, le cui parole sono più che esplicite, si oppose votando contro.
Legge Pica: La legge 1409 del 1863, nota come legge Pica, dal deputato promotore abruzzese Giuseppe Pica, fu approvata dal parlamento del Regno d'Italia, promulgata da Vittorio Emanuele II, il 15 agosto 1863. In vigore fino al 31 dicembre 1865 istituì la corte marziale con le esecuzioni immediate e sottraendo alla giustizia ordinaria gli oppositori. Furono Fucilazioni e deportazioni.
Dopo un anno e mezzo, con molte opposizioni, venne abolita la legge Pica ma 5 mesi dopo a maggio 1865 si tentò di ripristinarla con la reintroduzione di un'altra legge per l'ordine interno all'articolo 3. L'onorevole Crispi, le cui parole sono più che esplicite, si oppose votando contro.
Tassa sul macinato:
L'odiosa tassa imposta ad una popolazione che viveva sostanzialmente
sull'economia agricola e sul latifondo.
La resistenza dei
"briganti": «Ne
venne fuori una lotta aspra, senza quartiere, terribile, con il
sangue che colò a fiotti sull'uno e sull'altro fronte. Una vera e
propria carneficina che fece inorridire l'intero continente europeo
che pure rimase immobile a guardare e gli stessi nuovi governanti
“unitari” i quali, a più riprese, denunciarono in Parlamento
orrori, massacri e bestialità inaudite. Eppure, per tantissimo
tempo, di tutto ciò non si è parlato, al di là di qualche fugace
ed anche improprio accenno. Sulla atroce guerra civile che insanguinò
il meridione d'Italia calò fitto ed impenetrabile il velo
dell'oblio. Fino a quando qualcuno iniziò a scavare negli archivi, a
tirar fuori documenti, a leggere carte ingiallite e consunte ma dal
contenuto inequivocabile, almeno quelle che erano sopravvissute al
“naufragio”. E allora la verità è cominciata a venire a galla.
E nessuno ha più potuto nascondere i fatti».
Attraverso i documenti emerge la storia controversa «ma
drammaticamente reale che troppi, ancora oggi, osservano con la lente
del pregiudizio. Un fenomeno che “fa parte a pieno titolo della
nostra storia e gli uomini che per esso morirono e soffrirono
concorsero pur essi in qualche modo a determinare le ulteriori
vicende del nostro paese”».
Fernando Riccardi, Brigantaggio postunitario: una storia tutta da
scrivere, Arte Stampa 2011.
Pontelandolfo e
Casalduni: Non lontano da Teano (a sud del Matese) avvenne la
rappresaglia dei civili che unitisi ai briganti, avevano inferto 40
vittime durante gli scontri alla compagnia e due ufficiali del 36º
reggimento di linea comandati dal generale De Sonnaz, detto
«Requiescant» per la facilità di fucilare i preti. Fu rappresaglia
militare, eccidi più efferati sulla popolazione inerme, alla fine
della strage la deportazione per cancellare le tracce. Fu il generale
Enrico Cialdini che ordinò le stragi di Pontelandolfo e Casalduni.
Incaricò il colonnello Pier Eleonoro Negri e il maggiore Melegari,
la testimonianza nel diario di Carlo Margolfo, uno dei militari che
parteciparono alla spedizione «Al
mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l'ordine superiore di
entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli
infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese,
subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti
capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato
l'incendio al paese. Non si poteva stare d'intorno per il gran
calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era
di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece
durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e
capponi, niente mancava…Casalduni fu l'obiettivo del maggiore
Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i
bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva
di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a
fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori
le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco
crepitava».
Giuliano Amato:
Presidente del comitato per le celebrazioni del centocinquantenario
dell'Unità d'Italia, centocinquant'anni dopo, il 14 agosto 2011, ha
commemorato quella strage con le scuse dell’Italia. L'unità
d'Italia è nata con il fucile, il sangue, la guerra civile e la
deportazione, tutto perfettamente taciuto fino a pochi anni fa.
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